La mostra, promossa da The Project Space in collaborazione con Over the Real e l’amministrazione comunale di Pisa è stata concepita appositamente per gli spazi della chiesa.
L’artista ivoriano di concerto con i curatori, ha scelto di rispettare e valorizzare i magnifici spazi dell’edificio di culto, progettando un’installazione composta da sculture di varie dimensione, in marmo, che si allineano all’asse verticale centrale dei volumi, guidando il visitatore alla scoperta contemporanea delle opere e del luogo, mirabile esempio di gotico pisano.
Brice Esso (1991, Dabou, Côte d’Ivoire) viene universalmente riconosciuto come uno dei più interessanti giovani artisti del panorama internazionale e si caratterizza per uno spiccato eclettismo e un accentuato interesse per tecniche e materiali, che lo hanno portato a esprimersi con varie tecniche e media, come la fotografia, il disegno, il fashion design e ovviamente la scultura.
Dopo gli studi in economia negli Stati Uniti, sempre in Nord America ha approfondito lo studio della fotografia e della lavorazione artigianale dei vari materiali per poi iscriversi alla prestigiosa New York Academy of Art, presso cui ha conseguito un master in disegno e ha continuato con lo studio della scultura.
É proprio la passione per la scultura che lo ha condotto a Carrara per approfondire lo studio delle tecniche trasmesse di generazione in generazione da secoli nella lavorazione del marmo, che ha integrato in seguito con la sperimentazione della scultura in bronzo. Le opere di Esso sono infatti il singolare frutto di una commistione di influssi che spaziano dall’arte africana (le sculture Ife sono un riferimento spesso presente) al rinascimento, incrociando lo studio della lavorazione lapidea scultorea del XVI secolo italiano ma anche di quella riscontrata in Egitto sin dall’antichità e la modellazione dell’argilla tipica della tradizione dell’antico continente e dell’Occidente.
L’installazione scultorea, “I figli dell’uomo”, concepita per la mostra a Pisa, rappresenta un’altra tappa importante nella ricerca estetica dell’artista, che verte sin dagli anni giovanili su una continua analisi delle proprie origini, sull’identità alla luce delle sue radici africane e della sua dimensione cosmopolita di artista, sul fenomeno della diaspora e sulla messa in discussione degli stereotipi legati a razza e religione.
Per l’artista quelle che sono ormai famose come “Baby Heads”, sono rappresentazioni di un’idea o addirittura “autoritratti psicologici”, che rielaborano sapientemente le iconografie delle maschere africane e soprattutto i loro codici simbolici spesso oggetto di stereotipizzazione in occidente.
Come afferma l’artista, sono parte di una ricerca antropologica inesausta, condotta da un artista ivoriano sul suo paese nativo, sulle sue caratteristiche e le sue contraddizioni.
La mostra rappresenta una singolare occasione per osservare le nuove opere di un’artista che ha saputo creare un ponte fra due universi culturali e iconografici solo apparentemente distanti, come quello africano e quello occidentale, che Brice Esso ha saldato assieme attraverso la sintesi delle tecniche e degli stili.